Daniel Cooper
Corso 6601 B – Stilistica
prof. ssa Giulia Tellini
C’era una volta una nuova giornata, che sorse molto presto in una splendida vallata delle Dolomiti. Sebbene fossero appena spuntate le prime luci dell’alba, alcuni abitanti di uno dei villaggi della valle si erano già alzati ed erano alle prese con i loro più vari mestieri. Uno di questi operosi abitanti, che viveva in una vecchia casupola a sud del villaggio, era un frate, di nome Domenico. La luce del sole penetrò nella casetta, colmandola di calore.
Nella modesta casupola del frate c’era a malapena lo spazio per una sola persona. Disteso sul pavimento, c’era un lettuccio di paglia, con una coperta di lana grezza ben piegata. A completare l’arredamento era una vecchia scrivania di legno con una sedia traballante. La scrivania era disseminata di carte e di penne, di quaderni e di libri: adagiata sui libri, si trovava la testa di Domenico.
Appena fuori dalla povera abitazione di Domenico, si potevano sentire i passi lenti e felpati di un anziano che si stava avvicinando alla porta. Il vecchio era vestito ordinatamente, con il mantello nero e l’abito bianco del suo ordine. Indossava i sandali di cuoio duro, legati intorno ai polpacci fino alle ginocchia. Giunto sul limitare della casetta di Domenico, il vecchietto voltò la testa e tese l’orecchio.
Non avendo udito nessun rumore, l’anziano appoggiò la sua mano rugosa sulla porta, la aprì con delicatezza, fece un passo in avanti e si guardò intorno. Osservò con piacere che tutto era pulito e in ordine, salvo un curioso mucchio di coperte di lana grigia accatastato sui libri sparsi sulla scrivania. Si schiarì la gola e disse: «Sic non potuistis una hora vigilare mecum?». Come un fulmine, Domenico si svegliò.
«Fra Domenico, è già la terza volta che ti trovo addormentato quando vengo a controllare il progresso dei tuoi studi. Non si deve prendere l’abitudine di dormire durante lo studio. La tua conoscenza spirituale non migliorerà se vai avanti così».
Domenico era più alto del vecchio di almeno trenta centimetri, con i capelli ricci e scuri, gli occhi castani e la pelle abbronzata. Mentre il giovane frate fissava sconsolatamente il pavimento, Fra Agostino lo guardò in viso e gli mise una mano su una spalla. «Non te ne preoccupare troppo, Domenico, tutti commettiamo degli errori. Anch’io sbaglio ogni tanto, per carità; però il Signore ci giudicherà proprio per lo sforzo che facciamo per superare i nostri sbagli».
Domenico annuì.
«Ma se ti trovo un’altra volta a dormire durante l’ora di studio ti picchio in testa con un bastone, hai capito?».
Domenico fece tanto d’occhi per la sorpresa, e vide con suo grande sollievo che l’altro frate stava sorridendo.
«Mi dispiace tanto, fra Agostino, è solo che il freddo del mattino mi mette tanto sonno che riesco a malapena a tenere gli occhi aperti».
«Freddo? Macché!», esclamò il frate anziano mentre dava a Domenico una pacca sulla spalla. «Non siamo nemmeno arrivati all’autunno, mio giovane amico, aspetta che arrivi il tuo primo inverno qui al nord, allora la mattina sentirai davvero i brividi».
Uscirono insieme dalla casupola di Domenico.
«Vieni, Domenico, andiamo dal panettiere a vedere se si può ottenere una fetta di pane per la colazione. Mentre saremo lì, vedremo se…».
«No, no, non è necessario», disse Domenico in fretta.
«Che cosa?» disse Agostino meravigliato. «Non vuoi mangiare niente? Non hai cenato ieri sera, avrai tanta fame, dài, vieni! che ti troviamo qualcosa da mangiare».
«No, veramente fra Agostino, non ce n’è bisogno, oggi non mangio».
«Che c’è? Sei malato?».
«No, fra Agostino, non sono malato», rispose Domenico ridendo, «ho deciso di digiunare. Ho un grande bisogno di forza spirituale per abituarmi meglio ai doveri e a questo nuovo ambiente. Ieri pomeriggio stavo studiando gli insegnamenti del profeta Isaia e ho sentito che un digiuno sarebbe stato per me molto utile».
«Ah, un digiuno, ottimo Domenico, e non te l’ho nemmeno consigliato io. Stai progredendo come frate, sai. Bon, fino a quando farai questo digiuno?».
«Digiunerò per tre giorni».
«Tre giorni. Sei bravo, allora» disse Agostino. «Digiunare ogni tanto fa bene alla salute spirituale, lo sai. Il digiuno e la preghiera».
«Sì, fra Agostino, e al fine di spendere il più tempo possibile in preghiera e in meditazione, trascorrerò gli ultimi due giorni del mio digiuno in completa solitudine. Partirò dal villaggio alle otto e me ne andrò nella foresta per comunicare da solo con Dio».
Agostino guardò l’orologio e disse: «mancano soli dieci minuti, frate mio. Sei pronto? Hai ancora da preparare qualcosa?».
«No, frate, non ho da fare, sono pronto. Non porterò niente con me, tranne la fede».
«Molto bene, Domenico. Stai diventando un buon frate, sai?».
«Grazie, fra Agostino», disse Domenico.
«Allora, Domenico, in bocca al lupo nel bosco, mi raccomando».
Domenico sorrise e cominciò a camminare verso la montagna, che stava al nord del villaggio.
*****
Mentre camminava, Domenico vide molti degli abitanti del villaggio e li salutò. Il fabbro, che batteva il metallo già caldo, forgiando le pentole e gli strumenti per gli agricoltori; il sarto, che riparava gli abiti; il panettiere, in piedi davanti al suo forno, pronto a tirar fuori la prima infornata di quell’anno del suo squisito pandoro. Quest’uomo, secondo Domenico, era veramente un maestro del suo mestiere. Il pandoro che creava era il più dolce, morbido e delizioso di tutti i pandori che si facevano nei dintorni e Domenico era da tutto l’anno che aspettava di poterlo mangiare.
Peccato che oggi, proprio nel mezzo del suo digiuno, il panettiere avesse deciso di fare la prima infornata. Domenico pensò quasi di cambiare idea; forse avrebbe potuto finire di digiunare dopodomani e avere ora il gran piacere di mangiare quel pandoro. «No!» pensò d’un tratto, «non posso». Si ricordò del digiuno e sapeva che, per osservarlo in piena regola, avrebbe dovuto astenersi da qualsiasi cibo fino alla fine. Era rassicurato anche dal fatto che il prezioso pandoro del fornaio sarebbero stato lì anche al suo ritorno, e per esserne più sicuro, pronunciò una silenziosa preghiera.
Domenico proseguì il cammino e, dopo mezzogiorno, aveva già attraversato la foresta ed era arrivato alla base del versante meridionale della montagna. Salì dunque diverse centinaia di metri e, giunto a una rupe piuttosto piatta, cominciò a cercare un buon posto per sedersi e trovò infine un pezzo di terreno che faceva proprio al caso suo. Si sedette, ammirò il panorama della valle, chiuse gli occhi e cominciò a pregare e a meditare. Si schiarì la mente e cercò di scacciare tutti i suoi pensieri.
Mentre si trovava in questa condizione di spirito, a meditazione appena iniziata, una brezza calda salì rapidamente su per il fianco della montagna e proseguì fino alla vetta. Domenico sentì il venticello, che un attimo dopo non c’era già più.
Prima di raggiungere la grande montagna, questa brezza particolare aveva soffiato sopra al piccolo villaggio in cui abitava Domenico, e quindi portava con sé il profumo di piatti appena cucinati, di pesce fresco e, fra le altre cose, del buonissimo pandoro.
Per caso, proprio nel momento in cui il profumo meraviglioso del pandoro entrava nelle narici di Domenico, il suo stomaco brontolò molto rumorosamente, senza dubbio perché erano due giorni che non mangiava. Lo shock dell’inatteso profumo e la violenza del ringhio affamato dello stomaco causarono una breccia nel muro meditativo che aveva eretto nella sua testa. L’immagine del pandoro succulento, accompagnata da un intenso desiderio di consumarlo, riempì la sua mente. Questo pensiero, tuttavia, non durò a lungo: qualche secondo dopo, il frate lo scacciò via e continuò a meditare e a pregare fino al tramonto.
Dopo il calar del sole, il frate riaprì gli occhi per ammirare il panorama notturno della valle, dove si vedevano i piccoli fuochi dei caminetti degli abitanti del villaggio.
Domenico osservò la valle finché tutti i fuochi non furono spenti e la gente non si era addormentata. Si alzò, si guardò un po’ intorno e decise che sarebbe stato meglio trovarsi un riparo per la notte. Dopo un po’, trovò una grotta che prima non aveva notato e ci gettò dentro un sasso per assicurarsi che fosse disabitata. Non sentendo niente, entrò e accese velocemente un piccolo fuoco. Non era una caverna grande, ma era comoda e asciutta. Contento di dormire, dopo la giornata lunga e faticosa, si stese per terra di fronte al fuoco.
Il crepitìo del fuoco e il dolce fischio di un venticello cantavano insieme un dolce duetto, e proprio nel momento in cui Domenico stava per abbandonarsi al sonno, sentì un forte rumore, come il fruscìo di un grosso animale, che stava fuori della grotta. Aprì subito gli occhi per vedere che tipo di creatura fosse, se cattiva o buona.
Un’ombra camminava su e giù, fuori dall’ingresso della caverna: guardava Domenico, che, senza paura, si sedette, in attesa dell’animale. Non riusciva però a capire che tipo di animale fosse, perché stava fuori dalla portata della luce del fuoco e lui, nel buio, non poteva nemmeno distinguere la sua forma. Intuiva, però, dal modo guardingo in cui si nascondeva nell’ombra, che doveva essere una bestia pericolosa.
La creatura fissava il frate e anche il frate la fissava, aspettando con pazienza ciò che gli sarebbe capitato quella notte. Dopo un po’ di questo curioso guardarsi a vicenda, la creatura avanzò, lentamente, fuori dall’oscurità ed entrò nella grotta: mentre si avvicinava, la sua forma cominciò a materializzarsi davanti agli occhi del frate, ma ciò nonostante egli non riusciva a riconoscere che tipo di bestia fosse. Nel buio, gli pareva una grande, scura, massa informe, e così gli apparve anche sotto la luce. Nel giro di pochi secondi, era completamente illuminata dal fuoco e Domenico stava lì a osservarla: rimase però sbigottito, non potendo credere ai suoi occhi. La creatura che gli stava davanti era… un gigantesco pandoro, alto un metro e mezzo e largo un metro: a Domenico sembrava che galleggiasse alcuni centimetri sopra la terra. Non poteva far altro che continuare a guardare il pandoro galleggiante, non sapendo come reagire.
Passarono alcuni minuti e alla fine, con grande stupore del frate, il pandoro gli parlò:
«Mangiami».
Il frate lo guardò, tacito.
«Mangiami» disse il pandoro.
Il frate prese un rametto dal fuoco e se lo avvicinò al piede: bruciava, quindi sapeva che non stava sognando.
«Mangiami» ripetè il pandoro un’altra volta a voce più alta.
«Che cosa… che cosa sei?» chiese Domenico esitante.
«Un pandoro» gli ribadì, senza fornire altre spiegazioni.
«Sei uno spirito?» chiese il frate.
«No».
«Sei un demonio?»
«No».
«Allora che cosa sei?»
«Un pandoro» gli disse ancora una volta, con evidente irritazione.
«Sei stato mandato da Dio?»
«No».
«Sei stato mandato dal diavolo?»
«No».
«Come sei arrivato qua su questa montagna?»
«Sono sempre stato qui».
«Come hai imparato a parlare?» chiese il frate, confuso.
«Non ho imparato. L’ho sempre saputo fare».
«Ma tu sei un pandoro».
«Eccomi».
«Va bene, e che cosa vuoi?»
«Voglio che tu mi mangi».
«E perché?»
«È il mio scopo».
«Il tuo scopo?», chiese Domenico. «Mi puoi spiegare questo tuo scopo?»
«Lo scopo per cui fui creato».
«Ah» disse il frate, imbattutosi finalmente in un’idea che gli era familiare, «lo scopo, dici, per il quale fosti creato?»
«Sì».
«E chi è il tuo creatore?»
«Sei tu».
Il frate si accigliò. I progressi che stava facendo si dissolsero subito. «Io?!», chiese.
«Sì».
«Che cosa vuoi dire?».
«Voglio dire che sei stato tu a crearmi».
«No, non è possibile, non sono creatore io. Sarai un sogno, o meglio, un incubo».
«Non sono un sogno. Esisto veramente».
«Ma che cosa sei, allora?»
«Un pandoro, te l’ho già detto mille volte, e tu mi hai creato».
«Cosa vuoi dire che ti ho creato?»
«Mi mettesti tu in questa esistenza nel mondo».
«Sì, conosco il significato delle parole che hai detto» disse il frate, «ma come? Quando?»
«Non lo so».
«Ma da quanto tempo esisti?»
«Da sempre. Per quanto ne so, sono sempre stato al tuo fianco».
«No, questo no. Sei qui solo da qualche minuto, non da sempre» disse il frate al dolce.
«Ma sono stato con te fin dall’inizio. Ero al tuo fianco da quando i cieli erano pieni di luce, prima che facessse buio, quando soffiarono i venti ed eri seduto là fuori in santa contemplazione, sull’orlo del mondo».
«Ah, va bene, ho capito», disse Domenico, «sei nato oggi pomeriggio? È stato allora il tuo inizio, volevi dire questo?»
«Sì, fu l’inizio».
«Giusto, quindi: perché ti ho creato? Non ho ancora capito»
«Il mio scopo è di essere mangiato… da te».
«Perché da me?»
«Non lo so, ma è il mio scopo», disse il pandoro.
«Allora, sei venuto al mondo questo pomeriggio, mentre io stavo meditando, e ora vuoi che io ti mangi? Giusto?»
«Sì».
«Ma io non ti posso mangiare» disse il frate.
«Lo devi fare, è il mio scopo».
«Ma non posso» disse Domenico, «io sto digiunando».
«Non ho capito» disse il pandoro.
«Allora, quando si digiuna, per un certo periodo di tempo non si mangia e non si beve».
«Sì, sì, so cosa vuol dire digiunare. Sono pandoro, ma non sono mica scemo», gli disse con risentimento, «quello che non ho capito è perché mi hai creato con il preciso scopo di essere mangiato, da te, quando è ovvio che non lo farai».
«Io…» disse Domenico, colto alla sprovvista.
«Ero perfettamente contento di stare al di fuori dell’esistenza, sai, galleggiando pigramente nelle secche dell’universo con tutti gli altri sogni irrealizzati; senza una sola preoccupazione nel mondo, ero. Poi, all’improvviso, tu mi hai creato, e soltanto per dirmi che non mi vuoi più. Hai una bella faccia tosta, te lo dico io!»
«Non…» disse Domenico, cercando invano le parole migliori per questa situazione, «non lo so. Sai che io, a dirti la verità, non intendevo crearti».
«Cosa? Non volevi crearmi?», domandò il pane, quasi urlando. «Mi stai dicendo, allora, che io sono stato un incidente? Beh, questo fa molto per l’autostima, sei veramente bravo, sai».Listen
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«Quello che ti volevo dire» disse Domenico un po’ impaurito, «è che non avevo nessuna idea di essere in grado di creare i grandi pandori parlanti».
Udite queste parole, il pandoro si arrabbiò moltissimo.
«Dopo tutti i guai, tutti i dolori che ho provato nella mia vita, mi stai dicendo ora che sono stato posto in essere da un creatore principiante, da un… novizio, da un…bambino?»
«Beh, non sono proprio un bambino», replicò il frate a bassa voce.
«Il mio scopo, il mio unico scopo è di essere mangiato da te», disse il pandoro, urlando, «tu mi mangerai questa notte o uno di noi morirà!».
Poi, il pandoro si scagliò contro il frate e cominciarono a lottare ferocemente.
Gli echi fragorosi dei ruggiti, delle urla e dei boati raccapriccianti della battaglia mortale scesero giù nella valle e svegliarono tutti quando raggiunsero il villaggio. Durarono poi tutta la notte e nessuno riuscì a dormire. Si svegliò anche il vecchio fra Agostino, spaventato dal rumore, e pensò al suo giovane amico, per cui fece silenziosamente il segno della croce.
*****
Due giorni dopo, il villaggio era ancora in fermento e non si parlava d’altro che della lotta dei mostri sulla montagna. Però, fra Agostino, preoccupato com’era, pensava soltanto al giovane Domenico che non era ancora tornato.
«Che cosa gli sarà capitato? È stato ucciso dai mostri? Forse si accapigliavano per il piacere di mangiare il suo corpo?». Così parlava, fra sé e sé, Agostino quando, all’improvviso, vide Domenico che stava in piedi sul limitare del villaggio.
«Domenico, frate, sei sano e salvo! Ben tornato. Ma, hai sentito il rumore terribile sulla montagna l’altro ieri? Mi stavo preoccupando molto per te, ma si vede che Dio ti ha protetto. Dai, vieni con me, che ti troviamo qualcosa da mangiare».
Domenico, con faccia smorta e senza dire una parola, seguì Agostino nel villaggio.
«Caro signor Pasta» disse Agostino al panettiere, «le spiacerebbe dare qualche fetta di pane al nostro giovane fra Domenico, che digiuna ora da tre giorni?».
«Certo, fra Agostino. Anzi, gli dò qualcosa di meglio, gli dò una fetta del mio famoso pandoro, appena uscito dal forno. Che ne dice, fra Domenico?», chiese il fornaio porgendo a Domenico un pezzo di pandoro caldo.
Domenico, pallido e quieto, fissò il pandoro e disse: «No grazie, non ho fame».